La Storia siamo Noi – MASSIMO QUERCIOLI


“Da aretino, vincere un campionato del genere, è stata un’emozione enorme”. Quando le interviste cominciano così, si parte subito con il piede giusto.

Massimo Quercioli, nato a San Giustino Valdarno – riporto una nota di colore perchè Massimo è figlio del mitico Sirio, che aveva una famosa gelateria in paese, nella quale negli anni 70 e 80 tutti noi siamo passati molte volte – con la maglia amaranto ha collezionato 106 presenze (dal 1976 al 1982) cominciando fin da ragazzino nelle giovanili.

Sei un figlio di Arezzo e, pertanto, che rapporto hai avuto con la squadra?

Sono nato a San Giustino Valdarno e fin da piccolo seguivo le partite dell’Arezzo, crescendo nel mito di Tonani, Vergani, Parolini ecc.

Poi in prima media ho cominciato le giovanili in amaranto agli ordini di mister Scatizzi e ci allenavamo a Capolona. Già da allora si capiva la serietà della società che puntava sui giovani della zona e cercava di portarli in prima squadra. Immagina che io, Giangeri, Ardimanni e Giuliani abbiamo cominciato tutti insieme da ragazzi, per poi giocare in serie C.

Che tipo di giocatore era Quercioli e in che ruolo giocava

Ero un giocatore che ci metteva il cuore quando entrava in campo; in particolar modo all’epoca i difensori marcavano ad uomo senza tanti fronzoli e, soprattutto, in modo sempre molto deciso e rude, anche perchè il gioco di allora ci permetteva qualche concessione in più, senza che venissimo subito puniti dall’arbitro. Però, devo dire che gli attaccanti erano più forti e scaltri in quanto segnare con quelle marcature asfissianti era veramente difficile. Ho sempre prediletto il gioco maschio, ma onesto e mi faceva piacere incontrare avversari che potessero mettermi in difficoltà, perchè mi aiutavano a migliorare; ovviamente quando c’era da battagliare ed entrare nei contrasti ero uno che non ci pensava due volte e ci faceva sentire.

Allenatore con cui ha più legato

Ho cominciato con mister Ballacci e di lui conservo, come tutti, un ricordo bellissimo perchè, pur essendo un mister preparato e molto esigente, per noi era come un padre, una persona eccezionale. Poi ho avuto mister Cucchi che prediligeva molto la parte fisica, ma aveva una visione molto rigida del calcio.

Poi ovviamente il grande Angelillo, con il suo carisma ed il suo charme argentino, era un allenatore fantastico perchè riusciva a leggere in corsa la partita come nessun altro, tanto che era capace di togliere alcuni giocatori anche dopo poco l’inizio della partita (famosa la sostituzione di Botteghi dopo solo 31 minuti in Giulianova-Arezzo perchè non stava facendo i movimenti richiesti dal mister). Noi facevamo il 4-2-3-1, quando nessuno sapeva che esistesse questo schema; secondo me Angelillo per le capacità enormi che aveva, non ha avuto la carriera da allenatore che meritava.

Poi era uno che non guardava mai la carta di identità perchè puntava solo sul rendimento del giocatore, indipendentemente dall’età, tanto che con lui tanti giovani hanno trovato la consacrazione, su tutti Mangoni e Butti. Con Angelillo, che mi chiamava “Quercia”, giocavo soprattutto in trasferta, perchè il mister fuori casa metteva in campo un marcatore in più rispetto alle partite casalinghe.

Compagno di squadra con cui ha più legato

Innanzitutto sono sempre rimasto legato ai compagni con i quali ho cominciato la trafila dalle giovanili e, quindi, Giangieri, Giuliani, Ardimanni. Immagina che la stagione 1978/79 l’Arezzo aveva grossi problemi economici (si alternarono alla presidenza Braconi, Geppetti e Terziani) ed in prima squadra giocavamo con 6 ragazzi cresciuti nelle giovanili amaranto (Ardimanni, Baldi, Giuliani, Giangieri, Tarquini e Quercioli). Era un altro calcio, ma c’era un senso unico di appartenenza alla maglia.

Così come il gruppo del 1981/82 erà stupendo, fatto da amici che si tengono in contatto ancora dopo quasi 40 anni. Mi sento spesso con Mangoni, con Butti, Botteghi e con tutti gli altri, tanto che in questo lockdown abbiamo fatto delle videochiamate in cui ci siamo messi a ricordare i vecchi tempi ed abbiamo fatto un tuffo nel passato.

La Partita più importante.

Io rimango sempre legato alle partite dell’annata della vittoria del campionato e mi è rimasta impressa la partita importantissima vinta a Latina (Latina- Arezzo 0-2 del 23 maggio 1982 con reti di Carboni e Mangoni) nella quale prendemmo due punti importantissimi per la promozione, in un ambiente caldissimo. Latina ai tempi era un campo molto ostico ed anche tre anni (27 maggio 1979) prima avevamo fatto una partita quasi stoica (Latina-Arezzo 0-1 con autorete) con Giuliani che aveva parato tutto e loro che avevano sbagliato un rigore in pieno recupero; durante quell’occasione Terziani, che aveva la gamba ingessata per un precedente infortunio, venne aggredito in tribuna.

Ovviamente non posso non ricordarmi la sfida con la Paganese (nella quale Quercioli entrò al 65esimo al posto di Zanin) perchè fu l’apoteosi di una stagione e, soprattutto, una gioia immensa per quella famiglia che si chiamava Arezzo.

Perchè sei andato via?

L’estate del 1982 mi sono sposato a Varese, dove abitava mia moglie conosciuta in vacanza, e, se pur giovane (Quercia è del 1958), stavo pensando di trasferirmi a vivere in Lombardia, dove risiedo tuttora, anche perchè ai tempi ogni calciatore di C doveva programmare il futuro post ritiro. Il Varese si era interessato a me e ci fu la possibilità di uno scambio con Arrighi che venne ad Arezzo ed io andai in Lombardia.

A Varese, però, ebbi dei duri contrasti con la dirigenza, in quanto ci furono problemi durante le visite mediche; mi cercò in quel momento l’Agrakas ad Agrigento e decisi di trasferirmi al Sud. É vero che la distanza fosse enorme, ma la piazza era molto calda, la dirigenza preparata ed ambiziosa e non potei rifiutare, poi ho giocato a Montevarchi ed a Nola e poi ho deciso di appendere gli scarpini al chiodo.

E perche non sei rimasto nel mondo del calcio?

Perchè il mondo del calcio non era e non è fatto per me. Già da giocatore ero un tipo molto schietto e diretto che diceva sempre quello che pensava, tanto che nello spogliatoio dell’Arezzo ero uno di quelli delegati ad andare a discutere premi e bonus con la dirigenza. Per me esistono il bianco ed il nero, non esiste il grigio e, quindi, non scendo a compromessi; conoscendo il pianeta calcio avevo capito che appena avessi smesso gli scarpini, avrei lasciato il pallone ed infatti così è stato.E poi sono rimasto legato ad un calcio in cui il gruppo rappresentava una sorta di famiglia e si buttava il sangue per i compagni; pensa che una partita ho giocato per 20 minuti con l’astragalo rotto e poi sono uscito.

Segui l’Arezzo attuale?

Come ti ho detto vivo da quasi 40 anni a Varese, ma non ho mai smesso di seguire le vicende dell’Arezzo perchè il legame con la mia terra e la mia squadra è sempre forte.

Sono contento che sia entrata questa nuova dirigenza che possa dare una certa stabilità all’ambiente. Ovviamente adesso non ci sono più le proprietà alla Terziani, che investono nel calcio per passione e che, però, rischiano di perderci tantissimo; ora i presidenti devono essere più attenti e con i costi ed i problemi attuali diventa difficile fare calcio e metterci non rappresenta alcuna forma di investimento.

Però, figure alla Terziani, mancano in questo mondo perchè erano personaggi carismatici, di riferimento per tutti, che con passione ed amore comandavano nelle società e con le quali bastava una parola per trovare accordi e chiudere contratti. Adesso molto spesso non si capisce neanche chi comandi.

Una società di calcio se vuole fare bene deve partire dalle basi e, quindi, dal settore giovanile. Come ti ho già detto noi siamo partiti insieme dai giovanissimi per arrivare in prima squadra, dove abbiamo giocato per anni e dove c’erano tanti ragazzi di Arezzo e quella è stata la base su cui sono stata costruite la squadra ed il gruppo del 1981; per una società di calcio e per una città queste sono enormi soddisfazioni.

Aneddotto

Ti racconto questa perchè è bellissima. Ai tempi di Angelillo – si torna sempre lì al 1981/82 perchè porto nel cuore tutto e tutti di quella grande annata – quando facevamo le partitelle in allenamento, il mister ordinava 20/30 panini alla mortadella ed un fiasco di vino rosso; la squadra che perdeva la partitella doveva pagare la merenda e, quindi, ti puoi immaginare cosa potesse succedere in campo per vincere, però questa cosa ci ha aggregato in un modo eccezionale.

Massimo è uno tosto, lo capisci subito dalla voce e dall’atteggiamento, che ama parlare dell’Arezzo e ricordare quei bellissimi periodi vissuti in amaranto. Dopo quasi 40 anni passati a Varese ha preso un pimpante accento lombardo, ma quando parla del Cavallino torna quel ragazzo che tutti i giorni partiva da San Giustino Valdarno per andare ad allenarsi agli ordini di Mister Scatizzi.

Grazie Quercia della disponibilità! No, grazie a Voi, che dopo 40 anni Vi ricordate ancora di Noi!!

E come scordarVi!!! Forza Arezzo! Sempre!!

di David Bondi