La Storia siamo Noi – Andrea Mangoni
Il 2019 si chiude con una bella chiacchierata con un altra bandiera amaranto, Andrea Mangoni, uno dei calciatori più importanti della storia dell’Arezzo e sicuramente uno dei beniamini della tifoseria aretina, che in mezzo al campo scrisse pagine importanti per il calcio della nostra città, tanto da essere il terzo giocatore di sempre come presenze con la maglia amaranto (246).
Quando è arrivato ad Arezzo?
“Il mio arrivo ad Arezzo è stato molto particolare; avevo 19 anni, giocavo in serie D nell’Aglianese (stagione 1979/80) ed ero un giovane molto promettente. Si interessò a me il DS del Prato, Moreno Roggi, dopo che avevo fatto una bellissima partita proprio a Prato, e firmai un preliminare per la successiva stagione, ma il Presidente Toccafondi fece saltare l’affare per contrasti con Roggi, il quale si dimise. A quel punto, il direttore Sportivo dell’Aglianese, Giorgio Masi, chiamò Giuliano Sili, il quale, dopo aver chiesto informazioni all’amico Roggi, mi acquistò portandomi ad Arezzo nel luglio 1980, in prestito con diritto di riscatto,che, poi, grazie alle mie prime partite, venne esercitato ad ottobre.
Quale fu l’impatto con la tifoseria e la città?
“Per me che venivo da un piccolo paese della provincia di Pistoia (Bottegone), Arezzo era una grande città, nella quale la passione per la squadra locale era forte e genuina. Mi ricordo che mi capitava di telefonare a casa, raccontando in modo entusiasta dei giocatori più esperti ed importanti che erano in ritiro con me – Neri, Zandonà, Barbana che aveva giocato a Pisa -; ero veramente felice di far parte di questa grande squadra. Molti tifosi ci seguivano anche agli allenamenti e noi giovani eravamo molto apprezzati, specialmente quando salivamo in prima squadra dalla primavera.”
Che tipo di giocatore era Mangoni
“Sono arrivato ad Arezzo da libero e quello è il ruolo a cui sono più affezionato e nel quale rendevo maggiormente, tanto che anche negli anni dopo l’esperienza in amaranto, ho sempre giocato libero, militando a San Benedetto, vincendo anche un campionato di D a Viareggio ed uno di C a Ferrara; voglio sottolineare che sono stato votato dai tifosi spallini come il quinto miglior libero della storia della Spal, ma ciò mi lascia un piccolo cruccio perchè sono convinto che se avessi sempre giocato in quel ruolo, avrei potuto calcare i campi della A. Ma non ho alcun rimpianto perchè ad Arezzo sono stato amato ed io mi sono sempre sentito aretino nell’animo. Sono rimasto otto stagioni perchè mi sentivo una bandiera della squadra e mi piaceva rappresentare la città ed il popolo amaranto.
In che ruolo giocava Mangoni ad Arezzo
“Dopo la cocente sconfitta di Livorno, mister Angelillo, mi fece esordire a Cosenza, da libero, dove ottenemmo un buon punto e per alcune partite sono rimasto in quella posizione perchè l’allenatore voleva far riposare per motivi precauzionali Zandonà, che era il libero titolare. Con il rientro di Beppe, sono stato spostato a centrocampo dove sono rimasto per 8 stagioni!
Allenatore con cui ha più legato
“Ad Angelillo devo tanto perchè a 20 anni mi ha fatto esordire, ha creduto in me e mi ha lanciato nel calcio che conta e sono legatissimo a lui ed alla sua famiglia; Angelillo era un mister che già il mercoledì aveva in mente la formazione della domenica e trasmetteva questa sua grande sicurezza a tutto il gruppo; aveva un empatia straordinaria ed aveva la più grande qualità che contraddistingue gli allenatori: leggeva la partita e sapeva cambiare i giocatori durante la partita. Una volta sono stato sostituito dopo 27 minuti (Arezzo-Pescara) perchè stavamo perdendo in casa ed io non andavo e vincemmo 2 a 1; ci rimasi male, ma aveva avuto ragione lui e, quindi, accettai la giusta scelta dell’allenatore. Ho avuto anche un rapporto particolare con Enzo Riccomini, perchè sono stato un suo giocatore di fiducia per 6 anni, avendolo avuto come allenatore ad Arezzo, a San Benedetto del Tronto ed a Viareggio.
Compagno di squadra con cui ha più legato
“Facevo parte di un grande gruppo che ha raggiunto risultati così importanti proprio perchè era unito e coeso. Poi ho stretto una grande amicizia con Menchino – con cui sono stato 6 anni in camera insieme in ritiro – che una volta ogni 15 giorni viene a trovarmi quando passa da Pistoia, rimane a cena da me e parliamo dei bei momenti trascorsi in amaranto, e da sempre ho un rapporto di grande affetto e rispetto anche con Botteghi, che poi, quale DS della Spal, mi portò a Ferrara. Anche se devo dire che ogni volta che ci troviamo con lo splendido gruppo dei tempi di Arezzo, siamo come fratelli.
Partita più importante e goal più significativo
“Sono tantissime le partite importanti giocate in maglia amaranto, ma la doppia sfida con la Ternana per la finale di Coppa Italia di C rimane scolpita nel mio cuore, all’andata avevamo perso 1 a 0 ed in casa, davanti a 15mila tifosi, vincemmo 2 a 0, segnò nei supplementari il grande Barbana, purtroppo scomparso prematuramente, ed il ricordo di quel momento ancora mi emoziona. Poi anche la vittoria a Perugia (15 giugno 1986) sotto l’acquazzone con conseguente retrocessione in C degli umbri, fu fantastica; sono quelle partite che ti avvicinano alla piazza, che ti fanno sentire aretino e sono quelle che ti rimangono dentro. Ho segnato pochissimi goal nell’Arezzo (5 reti in 246 partite), ma il più importante fu quello che ci dette la vittoria sul campo del Palermo (18 maggio 1986).
Cosa mancò all’Arezzo per andare in A nell’83/84?
“Quello è stato l’anno del maggior risultato sportivo dell’Arezzo (quinti a 5 punti dalla Cremonese, terza che salì in A); immagina che ancora in casa ho appesa la classifica finale del 1983/84. È difficile dire cosa possa essere mancato, perchè per vincere i campionati ci vuole un mix di elementi e circostanze; forse la squadra era troppo giovane e non c’erano giocatori di categoria che avessero già vinto il campionato di B, forse non eravamo pronti, ma rimane difficile indicare un motivo preciso. Ma rimango dell’idea che il risultato finale è sempre quello che una squadra si merita nel corso della stagione.”
Hai avuto la possibilità di andare in serie A?
“Ho sfiorato la serie A in due momenti. Nel 1983 Mariottini mi chiamò in sede – da solo in quanto non avevo il procuratore – e mi disse di avermi venduto all’Avellino per 800 milioni, ma mi ricordò di non chiedere ingaggi particolari perchè ad Avellino tutti prendevano la stessa cifra; chiesi, però, quanto avrei preso e rischiai di cadere dalla sedia!! – ad Arezzo prendevo 24 milioni all’anno contro i 60 milioni che avrei preso in Irpinia!! Poi, però, un giocatore (Danilo Ferrari) non volle scendere in B, ci furono altri fatti extra calcistici e lo scambio saltò. Era un momento in cui l’Avellino prendeva i giovani dalla B e li lanciava nel calcio importante; toccai la serie A per pochi giorni. Poi, nel novembre 1987, ci furono grandi manovre di mercato: Tovalieri era stato ceduto al Pescara per due miliardi, Pozza al Bari in cambio di Cavasin – giocatore di fiducia di Bolchi – , io al Napoli di Maradona in cambio di Baiano e Sola. Era praticamente tutto fatto, ma ci fu una feroce contestazione della piazza – durante la prima partita dell’Under 21 Italiana giocata ad Arezzo – che aveva letto la notizia della cessione del Cobra sul giornale ed il presidente Butali, grande persona di cui conservo un bellissimo ricordo, per paura dei tifosi, chiamò Mariottini, che era a Milano per il calciomercato, e bloccò tutto; oltretutto Mariottini si dimise dopo questa vicenda. Io ero all’oscuro di tutto – i giocatori al tempo non venivano informati delle trattative – venni a conoscenza dei fatti il giovedì al campo di allenamento, tanto che alcuni compagni, dopo aver letto il Corriere dello Sport – che conservo ancora – mi dissero che sfortuna (“sfiga”) avessi avuto. Pertanto rimasi e quello fu l’ultimo anno ad Arezzo che purtroppo coincise con la retrocessione in C.
Perchè è andato via ?
“Sarei rimasto volentieri perchè dopo 8 anni passati in amaranto ed avendo 28 anni, avrei voluto chiudere la carriera ad Arezzo e diventare una bandiera della squadra e della città. Il contratto era scaduto ed avrei dovuto rinnovare, ma l’Arezzo, con Rampanti mister e Nassi Direttore sportivo, prima mi fece andare in ritiro, insieme a De Stefanis, anche lui senza contratto, ma nessuno si faceva avanti per firmare il rinnovo; poi ci chiamarono in sede alle 9:30 di sera e ci proposero la metà dell’ingaggio e, pertanto, decisi di cambiare squadra e venni chiamato da Riccomini a San Benedetto. Mi dispiacque moltissimo lasciare Arezzo, ma non c’erano più le condizioni per rimanere, tanto che il giorno dopo mi sfogai con i giornalisti.
Come tornò da dirigente?
“L’Arezzo, come ben sapete, era fallito e Massetti, grande persona e grandissimo tifoso amaranto, aveva salvato la squadra, mantenendo la serie D, esponendosi in prima persona, anche con un notevole esborso economico. Stava cercando un direttore sportivo ed inizialmente lo aveva proposto a Menchino, ma Neri, da uomo serio qual è, gli propose il mio nome visto che, dopo tanti anni in giro per l’Italia come DS, avevo scelto di rimanere vicino alla mia famiglia, che avevo sacrificato per tutto quel tempo e oltretutto venivo dall’esperienza con l’Atletico Catania, dove non ero stato pagato per mesi. Accettai subito perchè il richiamo di Arezzo e del mio vecchio capitano Neri, era irrinunciabile e, quindi, diventai direttore sportivo dell’Arezzo. Immagina che percepivo un ingaggio minimo, una sorta di rimborso spese, ma ho passato un periodo bellissimo in compagnia di Massetti che, ripeto, ha fatto cose straordinarie per la squadra della sua città, del mio amico Menchino e di Daniele Lami. Poi sono rimasto fino al termine della stagione con Severini e poi ho lasciato, anche perchè lo stesso Presidente mi aveva manifestato la volontà di vendere, considerato gli alti costi che erano necessari per tenere una squadra in D. Conservo uno splendido ricordo anche di Gino Severini perchè nei miei confronti fu corretto, in quanto chiesi allo stesso di non corrispondermi alcun ingaggio, ma di pagarmi i contributi, tenuto conto che da lì a poco sarei andato in pensione.”
Come vede l’Arezzo attuale e quale giocatore della rosa attuale le piace?
“Seguo l’Arezzo tramite i giornali e la televisione, perchè la domenica sono sempre stato impegnato, avendo smesso da poco di allenare a Quarrata, anche se qualche domenica fa ho visto Pistoiese- Arezzo e, come al solito, mi ha deliziato lo sguardo Cutolo, che è un gran giocatore, anche solo per come calcia. Devo ringraziare sia il Presidente La Cava che il DG Pieroni perchè ogni anno mi viene spedito l’abbonamento per la tribuna, ma non sono riuscito ad usufruirne; spero di poterlo fare in futuro, anche perchè la gentilezza e la cortesia dei dirigenti amaranto sono encomiabili. Da un punto di vista societario e tecnico, per prima cosa La Cava ha investito le proprie risorse e salvato la società; poi sul campo l’anno scorso sono state fatte cose egregie e quest’anno, dopo una partenza zoppicante, anche comprensibile date le molte partenze, la squadra si sta riprendendo bene. Faccio una considerazione: in serie C, anche in piazze importanti come Arezzo, si deve solo ringraziare se si trova un presidente disponibile ad investire soldi; bisogna stare attenti a non criticare in modo eccessivo perchè si rischia che si possano stancare da un punto di vista mentale e che abbandonino tutto. Anche all’epoca Massetti, che avrebbe avuto la forza economica per guidare la società, si stancò mentalmente venendo spesso criticato ed attaccato da parte della stampa.
Aneddoto particolare
“Non è un aneddoto, ma un grande dispiacere. Mi mancano il presidente Terziani, mister Angellillo e il Nanni Occhini; è come se, con la loro scomparsa, una parte di me se ne fosse andata. Sono state persone importanti nella mia vita e rinnovo un saluto caloroso ed affettuoso alle loro famiglie”.
Con queste toccanti parole di Andrea Mangoni, si chiude l’intervista con una delle più grandi bandiere della nostra storia e con una persona seria, disponibile e che dal 1980 ha l’amaranto nel cuore e nell’animo. Forza Arezzo!!! Grande Mango!!
A cura di David Bondi alias Ferrero