La Storia siamo Noi – CORRADO PILLEDDU

Corrado Pilleddu con Serse Cosmi – Foto dalla pagina FB di Corrado Pilleddu

Ci sono calciatori che possono giocare in una squadra anche per poco tempo, ma fin da subito entrano nel cuore dei tifosi e rimangono idoli per sempre. Corrado Pilleddu, Bobo per tutti, ha giocato ad Arezzo per un anno e mezzo ( 22 reti in maglia amaranto), ma dall’estate del 1997, momento del suo arrivo, è diventato un mito per gli aretini e rimane uno dei più amati della nostra storia.

Forse per quel suo essere un personaggio fuori dalle righe, per quel suo essere schietto e sincero, per quell’attaccamento alla maglia che lo portava a “combattere fino alla morte” per l’Arezzo. Cosmi in un’intervista ha detto “Pilleddu ha incarnato quello che ogni allenatore e ogni tifoso vorrebbe: l’abnegazione, l’attaccamento e la passione per la squadra, doti che ognuno cerca nei propri giocatori”.

Ed è anche per questo che Bobo Pilleddu viene sempre acclamato quando torna ad Arezzo!

Quando e come sei arrivato ad Arezzo?

“Giocavo nel Ponsacco la stagione 96/97 in C2 ed avevo segnato contro l’Arezzo sia all’andata che al ritorno; alla fine della stagione ricevetti la chiamata di Falasconi che mi informò dell’interessamento dell’Arezzo e per me fu una notizia incredibile. Poi parlai con Ciccio Graziani e mi sembrò di toccare il cielo con un dito, considerata l’importanza del personaggio. Avevo 30 anni e si stava avverando un sogno, anche perchè la mia vera carriera è cominciata nell’estate del 1997 quando mi sono svincolato dal Ponsacco e sono venuto ad Arezzo. Parlai con Ciccio, che mi aveva fortemente voluto insieme a Cosmi, e ci accordammo subito, anche perchè, pur di vestire l’amaranto, avrei giocato gratis.”

Quale fu l’impatto con la tifoseria e la città?

“Già quando venni a giocare con il Ponsacco al Comunale, appena entrato in campo mi sentii un brivido correre lungo la schiena. Mi ricordo che, come facevo in quasi tutte le trasferte, venni ad Arezzo in macchina per restare qualche giorno in città e venni avvicinato da un gruppetto di tifosi; all’inizio non sapevo bene cosa volessero e mi ero anche irrigidito, poi però in modo amichevole mi chiesero di venire a giocare ad Arezzo e lì compresi che si sarebbe creato un feeling indelebile con gli aretini. Poi, appena firmato con gli amaranto, volli subito calcare il manto dello Stadio per sentire la stessa sensazione che avevo provato da avversario.

Che tipo di giocatore era Pilleddu?

Sono cresciuto nella Sestrese di Genova, dove ho giocato per tanti anni, e, sinceramente, non avrei mai pensato di fare il calciatore, se non a livello amatoriale; inoltre, avevo un carattere particolare, rissoso, portavo i capelli lunghi e l’orecchino in tempi in cui erano pochi a portarli. Tutto ciò devo dire che abbia ritardato la mia carriera perchè per non sottostare alle regole, ho preferito non scendere a compromessi. Sono cresciuto in gradinata Nord con gli ultras del Genoa (Bobo è un grandissimo tifoso genoano) ed ho sempre imparato a dare tutto sia in campo che fuori dal campo; ad ogni goal segnato mi piaceva correre verso il settore dei tifosi della mia squadra ed appendermi alla rete, abbracciare i tifosi, sentirmi uno di loro ed erano tutte cose che ti avvicinavano in modo incredibile ai tifosi, ma facevano storcere il naso a qualche addetto ai lavori. In campo io mettevo tutto me stesso e spesso potevo anche perdere di lucidità, ma ero fatto così e mi piaceva fare la punta a tutto campo, non risparmiandomi e dando la vita per la maglia. Per me il calcio è sempre stata passione.

Che rapporto hai avuto con Cosmi?

La prima volta che l’ho incontrato da avversario, feci una scivolata davanti alla sua panchina e lo bagnai tutto!! Devo ringraziare il cielo di averlo incontrato perchè è stata la mia fortuna; con la sua saggezza e le sue competenze tecniche ha insegnato ad un calciatore di 30 anni come ero io, a giocare in modo efficace, insegnandomi movimenti e sgrezzandomi. Immagina che durante le partitelle tutti giocavano a 3 tocchi, mentre Serse comandava che Pilleddu giocasse ad un tocco proprio per migliorare le mie doti. Mi ha disciplinato e mi ha insegnato a fare la punta che presidia l’area e non, come facevo prima, l’attaccante che corre per tutto il campo e poi può perdere di lucidità negli ultimi 16 metri. Ho cercato di passare moltissimo tempo con lui, ascoltando i suoi consigli. Gli devo veramente tantissimo.

Che rapporto hai avuto con Ciccio Graziani?

Per me Ciccio è stato un secondo padre perchè ha sempre avuto la parola giusta nei miei confronti, soprattutto nelle difficoltà e da un punto di vista umano mi ha dato “veramente, veramente, veramente” tanto. Poi da grande ex calciatore quale è stato, mi dava anche consigli tecnici e tattici, che mi permettevano di migliorare i movimenti in area e l’approccio fisico con il pallone; anche lui si cambiava e si allenava con noi e mi insegnava ad attaccare e calciare con maggiore efficacia.

l goal più importante che hai segnato e la partita più importante?

Pistoia rappresenta per tutti noi il punto massimo della nostra carriera in amaranto, ma io ricordo con incredibile piacere due goal in particolare. Il primo è la rete segnata al Tolentino (Arezzo-Tolentino 1-0 dell’ 11 aprile 1998) perchè stavamo giocando male, c’era poco pubblico anche perchè venivamo da un periodo abbastanza negativo (due sconfitte consecutive contro Spal e Rimini) e fu esposto un brutto striscione “Ciccio Vattene”. Non ci vidi più perchè per me screditare Graziani era come una bestemmia; così ero talmente “incazzato” che volevo segnare per zittire queste critiche ed infatti quando Cerqueti mise una bella palla in mezzo,  mi gettai alla ricerca della palla e con un gran colpo di testa segnai. Appena gonfiato la rete mi misi a correre verso la tribuna sbraitando e dicendo di tutto contro quei tifosi che contestavano il mio grande Ciccio!! La sera stessa Graziani mi contattò in privato e mi ringraziò per il goal e per il gesto di attaccamento. L’altro è la rete segnata a Teramo (Teramo-Arezzo 1 a 1 del 17 maggio 1998) che ci permise di mantenere la terza posizione in chiave playoff e non farsi scavalcare proprio dal Teramo; appena segnato corsi ad abbracciare Serse anche come segno di ringraziamento per tutto quello che mi aveva dato in quell’annata.

Perchè non sei rimasto ad Arezzo per più tempo?

Ad ottobre 1998 Ciccio vendette l’Arezzo a Bovini e nella prima intervista che rilasciò alla Gazzetta dello Sport disse “Qui ad Arezzo non ci sono mostri sacri”. Mi chiamò subito Andrea Avato e mi informò delle dichiarazioni del presidente che, secondo i giornalisti, si sarebbe riferito a me e che ciò poteva presupporre la mia cessione. Io rimasi sorpreso, anche perchè volevo rimanere a tutti i costi ad Arezzo, ma la volontà della nuova dirigenza era di cedermi ed, infatti, il 31 gennaio 1999 era praticamente fatta la mia cessione al Catania, che offriva molti soldi per il mio cartellino, ma improvvisamente Sabatini fermò tutto e rimasi ad Arezzo.
Ero molto contento di rimanere, ma poi, a mercato chiuso, cominciò il pressing del Foggia di Sensi (Presidente anche della Roma) che, tramite il DS Meluso, mi telefonava spessissimo offrendomi ingaggi incredibili (mi ricordo di 120 milioni per 4 mesi quando ne prendevo 40 per tutto l’anno ad Arezzo), ma rifiutavo sempre perchè volevo rimanere in amaranto. Poi il venerdì prima della partita di Lecco (21 marzo 1999) mi incontrai in sede con Sabatini e Cosmi e concordammo, con tanto di stretta di mano con il DS, che sarei rimasto ad Arezzo per la soddisfazione mia e di Serse, che mi voleva trattenere a tutti i costi; tornai a casa (abitavo a Santa Firmina) e mi chiamò Meluso annunciandomi che Sabatini mi aveva venduto al Foggia. Caddi dalle nuvole perchè Sabatini aveva cambiato idea nel tratto stadio-Santa Firmina; allora volli un incontro con lui a “Casa Volpi”, dove, alle 8 del mattino prima della rifinitura, gliene dissi di tutti i colori e me lo tolsero dalle mani. Il giorno dopo partii per Lecco, sapendo di essere stato ceduto, ma non dissi niente a nessuno, neanche a Serse, giocai con la stessa grinta di sempre– prendendo una traversa- e, poi, dopo un lunedì passato a letto con una febbre a 40 da stress, a malincuore lasciai Arezzo. La mattina mi telefonò Cosmi veramente abbattuto “Serse non ti ho detto niente, perchè il bene dell’Arezzo viene prima di tutto”. Però mi sentivo tradito dalla dirigenza.

Compagno di squadra con cui hai più legato?

Quel gruppo era splendido ed unito, altrimenti non avrebbe vinto quel campionato. Ho mantenuto ottimi rapporti con Luca Cerqueti, Alessandro Lupo, Roberto Balducci, che è genovese come me, con Firli, con Fredric Massara che ora è al Milan e con Gabriele Graziani; io, lui e Lauro eravamo molto legati, ci piaceva uscire insieme. E poi non posso non pensare a Lauro. Appena ero andato a Foggia, lui era negli USA dove erano riusciti ad individuare il male che lo affliggeva, perchè in Italia non riuscivano a capire le cause delle sue condizioni di salute. Mi telefonò da là e mi dette la brutta notizia. “Lauro, sono arrivato a Foggia adesso, se vieni a trovarmi proviamo ad andare da Padre Pio per non lasciare nulla di intentato”. Venne giù – e le sue condizioni peggioravano velocemente, tanto che la mano destra si stava chiudendo -, ci recammo a San Giovanni Rotondo; ti devo dire che io non sono un cattolico praticante, ma in quei luoghi, ed in compagnia del mio amico fraterno Lauro, ho provato delle sensazioni indescrivibili. Siamo stati 4 giorni insieme e poi lui cominciò il ciclo di cure.

Il tuo futuro nel mondo del calcio?

Negli anni passati ho allenato, soprattutto a livello giovanile, ma non mi riconosco nel calcio di oggi, perchè non mi piace come si approcciano a questo sport meraviglioso alcuni miei ex colleghi e, soprattutto, molti genitori dei ragazzi. Rischiavo sempre di litigare con qualcuno e, per questo, ho preferito fare un altro lavoro, che adesso mi piace, e stare con la mia famiglia, anche se il calcio rimane la mia vita. Oltretutto il mio lavoro è inconciliabile con la possibilità di allenare e, quindi, per ora ne sono fuori, anche se la Sestrese, la società che mi ha lanciato da ragazzo, mi vorrebbe proporre un bel progetto con i giovani – Corrado è laureato in Scienze motorie – e vedremo che succederà.

Che rapporto hai con Arezzo e con l’Arezzo?

Il rapporto con Arezzo è indelebile, tanto che sono venuto l’anno scorso – a febbraio 2019 – per la cena in ricordo di Lauro ed ero insieme a Serse. È sempre fantastico tornare in città e trovare il grande affetto di tutti, a cominciare dal Museo Amaranto con Stefano Turchi, finendo a tutti Voi tifosi che Vi ricordate sempre di me. Mi sento sempre coccolato e questo attaccamento è quasi imbarazzante, ma sappiate che porto Arezzo sempre nel mio cuore. Ovviamente lo seguo sempre ed avevo il sogno di allenare l’Arezzo, ma le cose poi sono cambiate; chissà che accadrà in futuro. Mi rimane, però, l’orgoglio di aver giocato nell’Arezzo ed aver difeso i colori amaranto in campo.

Ci racconti l’episodio di Lauro a Pistoia.

Il giorno della grande vittoria siamo rimasti sul campo di Pistoia a festeggiare, mezzi nudi – anche perchè durante l’invasione i tifosi ci avevano praticamente spogliati – ed ebbri di felicità; poi sono tornato verso gli spogliatoi abbracciato a Lauro che era in borghese. All’entrata degli spogliatoi un commissario di campo ci fermò e, mettendo una mano sul petto di Lauro, gli disse che lui non sarebbe potuto entrare perchè non era un tesserato; già abbastanza incazzato, mantenni la calma e cercai di fargli capire che fosse un calciatore, ma lui non intese ragioni, ci spinse indietro e chiuse il cancello. Allora lo mandai a quel paese, sfondai con un calcio il cancello ed entrai insieme al mio Lauro, beccando due giornate di squalifica!! Devo dire che qualche anno dopo, mentre giocavo a Latina, quel commissario mi si avvicinò e, ricordandomi l’episodio mi chiese scusa, avendo poi conosciuto la vicenda di Minghelli.

Che emozione parlare con il grande Bobo!! é rimasto quel personaggio genuino, vero, carismatico che era in campo, quando ci trascinava a suon di goal e prestazioni, e che ancora trasuda dalle parole un amore incondizionato per la nostra maglia. Come cantava la Sud 20 anni fa: “Bobo Pilleddu!! Bobo Pilleddu! Bobo Pilleddu!!!!

di David Bondi (Ferrero)