Esortazione di un tifoso amaranto dalla Lapponia finlandese

Tifare Arezzo non ha confini né limiti; lo sanno molto bene tutti coloro che, come il sottoscritto, per diversi motivi si trovano o si sono trovati a vivere altrove, continuando tuttavia a sostenere la propria squadra del cuore con lo stesso fervore d’animo. Questa condizione che pareva essere appannaggio di una minoranza ha finito con l’investire giocoforza la realtà di molti, che dovendosi privare dell’essere in presenza si sono trovati a esperire forme inedite di tifo distanziato, e riflettere così sulla propria fede calcistica attraverso prospettive nuove.

Il primo ventennio del XXI secolo ha posto le premesse per lo scoppio di una pandemia che si è imposta sulle nostre vite come una vera e propria “rivoluzione copernicana”, dischiudendo nuovi orizzonti di senso e modificando le nostre categorie in modo significativo. Cosicché non soltanto rapporti interpersonali e lavoro, ma anche interessi e passioni si sono dovuti adeguare a nuove logiche e modalità. In un annus horribilis come quello che ci siamo lasciati alle spalle e che stiamo ancora fronteggiando, la lontananza e la caducità sono divenute i leitmotiv delle nostre esistenze, e hanno creato in noi una sensazione di disincanto, oltreché averci anestetizzato all’angoscia per l’imprevedibilità.

In uno scenario di tale precarietà le poche certezze su cui poggiare si rafforzano ancor più anziché indebolirsi, e la fede amaranto è proprio una di quelle. Incrollabile e intramontabile perdura nel tempo malgrado le avversità del divenire storico, attraverso i sentimenti che accomunano generazioni contrapposte tra loro e le cui differenze si annullano in nome di un unico credo.
È questo il piccolo miracolo dell’appartenenza e dell’identità, dimensioni essenziali da rivendicare e tutelare, specialmente visti i tempi che corrono. Detto da uno che vive a circa tremilacinquecento chilometri di distanza può apparire paradossale, ma in fondo in un momento delicato come quello che stiamo vivendo ciò che più conta è stringersi forte attorno ai propri colori e invocare lo spirito della squadra, affinché ogni suo singolo componente possa scendere in campo consapevole di dover dare il massimo di sé nelle prossime battaglie e regalare la salvezza a una piazza che merita di tornare a gioire. È un discorso che abbiamo sentito spesso nel corso di questa stagione, ma dalle sfide decisive che ci attendono passerà inevitabilmente il nostro destino.

Ebbene ci apprestiamo a vivere ore inquiete e trepidanti. Dalle terre finniche ho felicemente acquistato il biglietto virtuale grazie alla magnifica iniziativa di Orgoglio Amaranto (che ringrazio per l’impegno), e ho inoltre pensato di dare il mio personale supporto anche attraverso un piccolo gesto simbolico: nella foto che ho scattato sopra (e di cui mi scuso per l’agghiacciante qualità) mi ero recato al Villaggio di Babbo Natale a pochi chilometri da dove abito. Si tratta di un centro nevralgico che attrae ogni anno (in tempi normali) centinaia di migliaia di turisti e dal cui interno passa peraltro il circolo polare artico.
Come avrete già notato, sopra agli stemmi di Hertha Berlino e HJK Helsinki mi sono permesso di far spiccare orgogliosamente quello del nostro Arezzo. La scelta di collocarlo a pochi passi dall’ufficio postale principale di Santa Claus non è stata casuale, bensì figlia della volontà di appellarsi a qualsiasi cosa pur di far sì che la sorte quest’anno possa sorriderci e donare un regalo di Natale anticipato a tutto il nostro popolo amaranto.

Mi soffermo ancora un istante a guardare il nostro stemma. Vorrei che i giocatori facessero lo stesso per un momento. Rifletto su quanta importanza possa celarsi dietro a un singolo simbolo. Lì dentro è racchiuso un mondo intero che solo chi lo ha vissuto e chi lo vive può comprenderne l’essenza.
Il cerchio che avvolge il cavallo inalberato – meglio noto come “rampante” – mi riporta con la mente all’abbraccio finale della squadra dopo il prodigioso pareggio di Legnago, un’immagine bellissima e che lascia prefigurare una comunione di intenti sottesa in ciascun membro del gruppo.
Non si tratta di un dettaglio trascurabile, in quanto visto l’andamento della gara ci si sarebbe anche potuti aspettare un’arresa, e invece l’Arezzo ha lottato colpo su colpo fino all’ultimo secondo, senza mai gettare la spugna, conquistando un punto salvifico (e rischiando di far morire di crepacuore i suoi tifosi) e dimostrando di voler raggiungere l’obiettivo a tutti i costi. Per qualche minuto si ha avuto la terribile sensazione che il cuore amaranto stesse smettendo di battere, poi improvvisamente quel colpo di testa all’ultimo secondo ci ha riportati in vita, e il cuore ha ricominciato a battere più forte di sempre, scongiurando un funerale che sembrava ormai imminente.
L’Arezzo non muore, quindi ragazzi domenica scendete in battaglia e lottate fino all’ultimo sangue, credendoci dal primo all’ultimo istante, perché siete forti e non dovete temere nessuno.
Sempre, e solo, Forza Arezzo!

di Marco Mencarelli